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PRIVACY POLICY – COOKIE POLICY

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In evidenza

Mediazione - Aspetti pratici e riflessi deontologici della Legge e dei Decreti di attuazione del D.lgvo n. 28 del 4.3.2010

di Franco Ballati

Il decreto legislativo n. 28 del 4.3.2010 ha dato attuazione all'art. 60 della L. 18.6.2009 n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.

Alla legge, pubblicata sulla G.U. n. 53 del 5.3.2010, non è seguita, ad oggi, l'emanazione di alcun decreto di attuazione, per cui, necessariamente, l'oggetto della presente relazione dovrà limitarsi alla sola legge, effettuando un necessario raffronto fra l'attività che deve svolgere l'avvocato e le eventuali conseguenze che la stessa, (se compiuta in modo non conforme agli obblighi posti a suo carico), potrà avere sotto il profilo deontologico.

Dalla lettura della legge, gli obblighi, a carico del professionista (avvocato o praticante abilitato al patrocinio) e del mediatore risultano molteplici:

per l'avvocato:

  • l'obbligo di informazione (art. 4, comma 3);

per il mediatore (che ovviamente può essere anche avvocato):

  • l'obbligo di riservatezza (art. 9);

  • il segreto professionale (art. 10);

  • il divieto di percepire compensi direttamente dalle parti (art. 14);

  • la sottoscrizione di una dichiarazione di imparzialità (art. 14);

  • il divieto di “assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati” (art. 14).

Esamineremo tali “doveri” punto per punto.

  1. Obbligo di informazione (art. 4)

    L'art. 4, comma 3, del decreto legislativo dispone che, al momento del conferimento dell'incarico, l'avvocato debba informare (“è tenuto”) l'assistito, non solo della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione per le materie previste dal successivo art. 5, comma 1, 2 e 5, cui si rimanda, ma anche del fatto che l'esperimento della procedura è condizione di procedibilità della domanda (art. 5).

    L'informazione deve essere “fornita chiaramente e per iscritto” (a pena, ove non avvenga, di annullabilità del contratto di patrocinio fra l'avvocato e l'assistito, su istanza di quest'ultimo).

    Tale documento deve essere sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale successivo giudizio, davanti all'autorità giudiziaria (atto di citazione o ricorso).

    Anche se la legge non lo dice espressamente, tale documento non dovrà essere notificato alla controparte con l'atto di citazione ma depositato in giudizio al momento della iscrizione a ruolo nella causa.

    La violazione di tale “obbligo” comporta, per espressa previsione di legge, come si è già evidenziato, l'annullabilità del contratto “di prestazione di opera intellettuale”. Principio, peraltro, affermato anche dalla Corte di Cassazione, sez. unite, 19.12.2007, n. 26724, che si è occupata della distinzione fra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto; la violazione delle prime, e cioè delle norme di comportamento, sia nella fase negoziale che in quella attuativa del rapporto, genera responsabilità e può essere motivo di risoluzione del contratto, quando si sia in presenza di un non corretto adempimento del “generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente”.

    Un modello dell'informativa al cliente, predisposto dal C.N.F., è stato inviato anche dal Consiglio dell'Ordine; aggiungiamo solo che è consigliabile che tale informativa contenga anche l'autorizzazione al trattamento dei dati personali, così come previsto dall'art. 13 del D.Lgs 196/2003; e che, nel mandato, il cliente dichiari e riconosca espressamente di essere stato informato della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione di cui al decreto 28/2010 e delle agevolazioni fiscali previste dagli art. 17 e 20.

    A proposito di tale informativa, ci si è chiesti se la stessa debba essere sintetica od analitica.

    Si propende per la seconda ipotesi.

    L'assistito deve essere informato non solo delle previste agevolazioni fiscali, ma anche delle caratteristiche ed aspetti essenziali dei sistemi di risoluzione delle controversie, diverse dal giudizio ordinario.

    L'individuazione di tali caratteristiche e delle conseguenze della mancata attivazione del procedimento rispondono più correttamente al dovere di informazione.

    Si riporta uno schema di informativa analitica.

    L'obbligo di informazione, poi, si ritiene sia sempre a carico del professionista, indipendentemente dalla natura obbligatoria o volontaria del procedimento, come si deduce dal testo letterale della norma “l'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

    Se anche così non fosse (poi) ritenuto dalla giurisprudenza, la conseguenza connessa a tale violazione dell'obbligo di informazione (e cioè l'annullabilità del contratto) consiglia una prudenza maggiore e quindi l'opportunità, in ogni caso, di inviare e far sottoscrivere dal cliente tale informativa.

    Dalla lettura della norma (“il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio”) si deduce che tale obbligo sussiste a carico dell'avvocato dell'attore (e quindi la possibile sanzione, in caso di inosservanza, ricade solo sul professionista che propone l'azione giudiziaria) e sussiste al momento del concreto conferimento dell'incarico per la trattazione della pratica, sia in via principale che stragiudiziale.

    La violazione della norma, poi, costituisce anche illecito disciplinare.

    Dispone, infatti, l'art. 40 c.d. “l'avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assisittio all'atto dell'incarico, delle caratteristiche e della importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili”.

    Appare evidente che la mediazione è una possibile “nuova” soluzione della vertenza e quindi, come tale, deve far parte dell'informativa inviata, o data, all'assistito.

    Sul punto, e per analogia, si hanno numerose decisioni del Consiglio Nazionale Forense: all'atto dell'assunzione dell'incarico l'avvocato deve informare chiaramente il proprio assistito (anche se non vi è stata una specifica richiesta in tal senso) dei vari elementi che riguardano la lite: le caratteristiche e l'importanza della controversia, le attività da espletare, le iniziative da assumere, le possibili soluzioni (v. C.N.F. 20.1.1996, n. 77).

    Fra queste, dunque, l'obbligo di informare il proprio cliente di una nuova facoltà prevista a suo favore dal decreto legislativo 28/2010.

    E ciò con riferimento anche al dovere di competenza (art. 12 c.d.f.): “il professionista deve tenere informato il cliente non solo dell'evoluzione processuale e dell'ipotesi di soluzione del processo, ma anche delle propie scelte tecniche, rinunciando eventualmente al mandato, ove fosse in disaccordo con il cliente sulle soluzioni da adottare (C.N.F. 24.5.1996, n. 77).

    L'incuria sull'informativa, ben diversa dall'incuria nell'esercizio dei doveri di assistenza dei clienti, incide (in modo ridotto) sul più generale dovere di corretto comportamento” (C.N.F. 14.4.1993, n. 68).

    Da ricordare che anche il codice europeo all'art. 3.7 ha introdotto, a suo tempo, una disposizione che impone all'avvocato di sforzarsi per raggiungere la soluzione della lite al costo migliore per il cliente e deve consigliare il cliente in ogni momento sulla opportunità di trovare un accordo e/o una diversa soluzione per la definizione della lite.

  2. Obbligo di riservatezza e segreto professionale (art. 10)

    Dispone l'art. 9 che “chiunque presta la propria opera od il proprio servizio nell'organismo è tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese ed alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo”.

    Ed al secondo comma si aggiunge che tale obbligo è applicabile anche nei confronti delle altri parti, se le dichiarazioni ed informazioni sono state acquisite nel sorso delle sessioni separate “salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengano le informazioni”.

    Si è detto (v. Buffone, in “risoluzione alternativa delle liti civili e commerciali”) che “emergono, dunque, una riservatezza orizzontale ed una riservatezza verticale: la prima è quella che obbliga il mediatore a non riferire alle altre parti del procedimento di mediazione ciò che uno dei litiganti gli ha riferito nell'ambito di una delle sessioni separate. La seconda è quella che obbliga il mediatore a non riferire all'esterno ciò che ha avuto modo di apprendere e sapere nell'ambito del tentativo di conciliazione fra le parti.

    Con la conseguenza che le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate in un successivo giudizio avente lo stesso oggetto, anche parziale, della procedura di mediazione.

    Sul contenuto di tali dichiarazioni, ed informazioni, non è ammessa prova testimoniale, né può essere deferito giuramento decisorio. Né al mediatore può essere imposto di deporre su quanto appreso nel procedimento di mediazione, né davanti all'autorità giudiziaria, né davanti ad altra autorità.

    L'inosservanza di tale dovere, è sanzionato anche sotto il profilo disciplinare.

    Dispone infatti l'art. 9 del c.d.f. “E' dovere, oltreché diritto, primario e fondamentale dell'avvocato, mantenere il segreto sull'attività fornita dalla parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato”.

    L'avvocato è tenuto al dovere di segretezza e di riservatezza anche nei confronti degli ex clienti, sia per l'attività giudiziale che per l'attività stragiudiziale.

    Il segreto professionale, che è tutelato in tutti i paesi (vedi art. 2.3 Codice Deontologico Europeo), non è stabilito nell'interesse del professionista, né nell'interesse dei loro assistiti, o delle altre parti, ma nell'interesse pubblico; tale obbligo è considerato assoluto ed inviolabile.

    L'art. 622 c.p. punisce chiunque, avendo notizia, per ragione della propria professione, di un segreto, lo rivela senza giusta causa, ovvero lo utilizza per proprio o altrui profitto, se da ciò può derivare nocumento ad altri.

    L'art. 200 c.p.p. stabilisce che gli avvocati e gli altri professionisti non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione.

    L'art. 249 c.p.c. autorizza l'avvocato ad astenersi dal rendere testimonianza nel processo civile; e l'art. 58 c.d.f. prescrive che “per quanto possibile, l'avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale ed inerenti al mandato ricevuto”.

    Tale principio si estende anche ai praticanti (Corte Cost. 8.4.1997, n. 87); tutela sia l'attività giudiziale che l'attività stragiudiziale.

    Il dovere di segretezza e riservatezza sussiste anche nei confronti degli ex clienti e quindi anche dopo la cessazione dell'incarico (C.N.F. 8.7.1994, n. 65- pena inflitta la censura).

    Si è statuito che “pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il professionista che, nel ricorso per decreto ingiuntivo avverso propri clienti, per il soddisfacimento di crediti professionali, riferisca dell'attività svolta con dovizia di particolari riguardanti episodi coperti dal segreto professionale” (pena inflitta: sospensione di mesi due – C.N.F. 22.3.1997, n. 23).

    (Tali statuizioni, e tali doveri deontologici, quindi, si applicano anche agli avvocati, che assumono la funzione di mediatori).

  3. Dovere di Imparzialità (art. 14)

    L'art. 14 del decreto legislativo 28/2010 prescrive che il mediatore, per ciascun affare per cui è stato designato, sottoscriva una dichiarazione di imparzialità e non possa (“è fatto divieto”) assumere diritti ed obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati.

    Tali obblighi sono previsti anche per i suoi eventuali ausiliari.

    Il mediatore, quindi, deve essere “indipendente ed imparziale”.

    La norma prevede che “su istanza di parte, il responsabile dell'organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore”, ove, si reputa, il mediatore abbia informato l'organismo e le parti della esistenza di un possibile pregiudizio alla imparzialità nello svolgimento della mediazione.

    Ma se il mediatore è un avvocato, sotto il profilo deontologico, si applicherà a suo carico, per analogia, il dettato dell'art. 55 del c.d.f.;

    l'avvocato che abbia assunto la funzione di arbitro deve rispettare i doveri di indipendenza e imparzialità.

    Per assicurare il rispetto dei doveri di indipendenza ed imparzialità, l'avvocato non può assumere la funzione di arbitro... quando abbia in corso rapporti professionali con una delle parti in causa o abbia avuto rapporti che possano pregiudicarne l'autonomia.

    In particolare, dell'esistenza di rapporti professionali comuni alle parti l'arbitro nominato presidente deve rendere edotte le parti stesse, rinunciando all'incarico ove venga richiesto”.

    Se è inteso valorizzare l'indipendenza (ed imparzialità) dell'arbitro (ora mediatore); ne consegue che non può essere nominato arbitro un dipendente della parte od il suo difensore, né il collega di studio del difensore, né il socio di uno studio associato in cui altro legale sia il difensore.

    E nel corso del rapporto gli arbitri (nel ns. caso il conciliatore), per mantenere il necessario distacco dalla controversia, non devono avere contatti diretti con le parti.

    Regola, questa, che è praticata in molti paesi europei.

    La Camera di Commercio Internazionale di Parigi richiede agli arbitri la sottoscrizione, prima di procedere alla loro nomina, di una dichiarazione del seguente tenore: “sono indipendente da ciascuna delle parti ed intendo rimanervi: per quanto è a mia conoscenza, non vi sono fatti e circostanze, passati e presenti, che debbano assere dichiarati, che possano essere di tale natura da porre in dubbio la mia indipendenza nella considerazione di una delle parti”.

    Regole analoghe sono presenti anche in alcuno codici deontologici emanate da varie Camere di Commercio.

    La Camera Arbitrale di Venezia, per esempio, ha emanato un codice deontologico per coloro che accettano la nomina ad arbitro, dove si prevede che, fra l'altro

    art. 3 indipendenza: “L'arbitro deve accettare incarichi che sappia di poter svolgere con adeguata competenza, secondo le sue qualificazioni professionali in relazione alla materia del contendere”.

    art. 4 imparzialità: “L'arbitro nominato deve garantire la propria imparzialità nell'interesse di tutte le parti, salvaguardando il proprio ruolo da qualunque pressione esterna, diretta o indiretta”.

    art. 5 dichiarazione di indipendenza e imparzialitàCon l'accettazione, l'arbitro deve dichiarare la propria mancanza di relazioni o interessi con le parti, i loro difensori o rappresentanti o con l'oggetto della controversia, che possano ragionevolmente incidere sulla fiducia delle parti nella sua indipendenza ed imparzialità.

    Il successivo accertamento di fatti che avrebbero dovuto essere dichiarati può essere valutato dalla Camera Arbitrale come causa di sostituzione dell'arbitro, anche d'ufficio, nel corso del procedimento e non conferma in un nuovo procedimento”.

    Regole analoghe sono state emanate dalla Consob, con delibera 17205 del 4.3.2010 di approvazione del “Codice Deontologico dei Conciliatori e degli Arbitri iscritti negli elenchi tenuti dalla Camera di Conciliazione con Arbitrato”.

    All'art. 2 si è infatti statuito:

    1. Il conciliatore e l’arbitro, nello svolgimento della loro attività:

    a) rifiutano la nomina o interrompono lo svolgimento delle funzioni, informandone tempestivamente la Camera, ogniqualvolta ritengano di subire o di poter subire condizionamenti in ordine a un neutrale svolgimento dell’incarico;

    b) non accettano altri incarichi né svolgono attività che, per la natura, la fonte o le modalità di conferimento, possano in concreto condizionarne l’indipendenza;

    c) garantiscono e difendono con la propria coscienza l’indipendente esercizio delle loro funzioni da ogni tipo di pressione, diretta o indiretta;

    d) valutano senza pregiudizio i fatti della controversia, esaminando con scrupolo gli argomenti prospettati dalle parti e gli atti del procedimento e interpretando le norme da applicare con obiettività;

    e) ispirano il proprio comportamento a imparzialità e curano di rispecchiarne l’immagine anche all’esterno;

    f) evitano ogni possibile situazione di conflitto di interessi.

    2. Il conciliatore e l’arbitro comunicano tempestivamente alla Camera qualsiasi circostanza, fatto o rapporto suscettibile di incidere sulla loro indipendenza e imparzialità”.

    La violazione di tali obblighi da parte dell'avvocato (se arbitro o conciliatore) è considerata illecito disciplinare, punito con sanzioni che vanno dalla censura alla sospensione per mesi due.

    Si riportano, in proposito, due massime del Consiglio Nazionale Forense:

    1) “pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che, dopo aver presieduto il Collegio Arbitrale incaricato di risolvere il conflitto fra le due parti contrapposte, assume la difesa degli interessi di una parte contro l'altra, anche se in buona fede” (C.N.F. 15.5.1996, n. 66). - E' stata comminata la sanzione della censura.

    2) “pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e autonomia propri della classe forense l'avvocato che venga nominato arbitro unico, non comunichi di aver assunto in precedenza un incarico professionale di una delle due parti in causa ma anzi, successivamente alla nomina, assuma altro incarico professionale dalla medesima parte” (C.N.F. 8.11.2001, n. 229).

    E' stata comminata la sanzione della sospensione per mesi due.

  4. divieto di percepire compensi direttamente dalle parti (art. 14)

    L'art. 14 del D.Lgs 28/2010, al 1° comma, prescrive che “è fatto divieto (al mediatore ed ai loro ausiliari) di percepire compensi direttamente dalle parti

    Si ritiene che un comportamento del mediatore (nel ns. caso dell'avvocato) che richieda ed ottenga compensi direttamente dalle parti venga meno al dovere di lealtà e probità (art. 6 c.d.f.).

    Ma tale comportamento, a parere di chi scrive, è censurabile alla luce, anche, di altre due disposizioni, la prima del c.d.f., la seconda contenuta nel D.L. 115/2002 (patrocinio a spese dello stato);

    a) L'art. 50 del c.d.f. che pone il divieto “di richiedere alla controparte il pagamento del proprio compenso professionale, salvo che ciò sia oggetto di specifica pattuizione”.

    Il C.N.F. (con decisione 28.5.1982, in Rass. Forense 1984, 69), nel ribadire che il comportamento del professionista deve essere, in ogni occasione, improntato alla massima serietà, diligenza e dignità professionale, sia nelle vertenze giudiziali che nella pratica stragiudiziale, ha statuito che: “lede la dignità ed il decoro professionale l'avvocato che accetta un compenso dalla controparte in via transattiva, prima di perfezionare la transazione e poi, senza nemmeno restituire quanto ricevuto, intima alla stessa precetto” Nella fattispecie è stata ritenuta adeguata la sanzione della sospensione per un anno.

    b) l'art. 85 del D.P.R. 115 del 30.5.2002, sul patrocinio a spese dello stato, prescrive che:

    il difensore, l'ausiliario del magistrato ed il consulente tecnico di parte non possono chiedere e percepire dal proprio assistito compensi o rimborsi a qualunque titolo, diversi da quelli previsti dalla presente parte del testo unico. La violazione del divieto costituisce grave illecito disciplinare professionale”.

     

    Informativa ex art. 4 D.Lgs n. 28/2010 e ex art. 13 D.Lgs 196/2003

     

Gentile cliente,

a seguito del conferimento dell'incarico professionale, Le confermo quanto già anticipato a voce, ai sensi degli art. 4 del decreto legislativo 28/2010 e dell'art. 13 del d.lgs 196/2003.

  1. l'art. 4 del d.lgs. 28/2008 prevede la possibilità, a partire dal 20.3.2010, di avvalersi del procedimento di mediazione, per la conciliazione di una controversia, civile o commerciale, vertente su diritti disponibili, proponendo istanza ad un organismo di conciliazione iscritto nell'apposito registro istituito con decreto ministeriale;

  2. la mediazione sarà obbligatoria, a decorrere dal 20.3.2011, costituendo condizione di procedibilità della domanda giudiziale, quando si intenda agire in giudizio per controversie in materia di condominio, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari;

  3. la domanda di mediazione produce, per quanto concerne la prescrizione, dal momento della comunicazione alle altre parti, gli stessi effetti della domanda giudiziale, ed impedisce la decadenza;

  4. il procedimento di mediazione avrà durata non superiore a quattro mesi;

  5. la procedura di mediazione non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari e non è obbligatoria per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale, nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, per convalida di sfratto, possessori, di opposizione all'esecuzione forzata, in camera di consiglio;

  6. tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie o natura ed il verbale di accordo è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di € 51.646,00;

  7. per chi si avvale della procedura di mediazione è previsto l'obbligo di versare una indennità ai mediatori ma è loro riconosciuto,in caso di successo della mediazione, anche un credito di imposta commisurato all'indennità stessa, fino a concorrenza della somma di € 500,00.

    In caso di insuccesso il credito di imposta è ridotto a metà, così come disposto dall'art. 20, commi 2 e 3, del citato decreto 28/2010;

  8. il verbale di accordo costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale;

  9. dalla mancata e non giustificata partecipazione al procedimento di mediazione il giudice potrà desumere argomenti di prova nel successivo giudizio di cognizione, ai sensi dell'art. 116 c.p.c.;

  10. se il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, successivamente al procedimento di mediazione, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente nelle stesso periodo, nonché al versamento, a favore dello stato, di una somma pari al contributo unificato dovuto, oltre alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto se nominato;

  11. l'avvocato, al momento del conferimento dell'incarico deve informare l'assistito delle possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, nonché dei casi in cui tale procedimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

  12. l'informazione deve essere fornita per iscritto. Ove vi sia violazione di tale obbligo, il contratto fra l'avvocato ed il proprio assistito è annullabile;

  13. il documento che contiene l'informazione deve essere sottoscritto dall'assistito ed essere allegato all'atto introduttivo del giudizio.

    In caso di mancata allegazione il giudice informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione. 

  14. i dati rilasciati dall'assistito saranno trattati secondo le modalità dell'art. 13 del D.Lgvo 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”) e successive modifiche e finalizzati esclusivamente all'incarico conferito. Con la sottoscrizione della presente informativa, pertanto, il cliente dichiara espressamente di aver preso conoscenza dei propri diritti e delle informazioni di cui al suddetto art. 13, e, a norma degli art. 23 e 26 del richiamato Codice, rilascia al sottoscritto difensore il consenso al trattamento dei propri dati personali (comuni e/o sensibili e/o giudiziari). L'assisto prende altresì atto che, con la prestazione del consenso, tali dati potranno essere comunicati anche a collaboratori dello studio o operatori del settore giudiziario; e trattati anche per comunicazione telematiche all'organismo di conciliazione, così come previsto dall'art. 3 del d.lgs 28/2010, o agli organi giudiziari (cancellerie telematiche).

  15. la presente informativa, previa lettura, viene sottoscritta in due originali di cui, uno per il fascicolo di studio e l'altro per essere consegnato al cliente.

 

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