Giurisprudenza commentata

Sulla opposizione del detentore reale all'esecuzione per rilascio immobile

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Tribunale di Pistoia, sez. Monsummano T.me, sentenza 24.07.2000
[Dott. Pierpaolo Grauso]
 
di Franco Ballati

Due le questioni importanti decise dal G.I. con la sentenza che si annota; ed entrambe condivisibili:

a) Se il terzo non obbligato dal titolo esecutivo (ordinanza di convalida) possa esperire l’opposizione alla esecuzione, ex art. 615 c.p.c., oppure debba ricorrere alla opposizione di terzo ordinaria, prevista dall’art. 404 c.p.c.;

b) Se, nell’assenza di volontà contraria espressa dagli altri comproprietari, un singolo partecipante alla comunione possa stipulare validamente con terzi un contratto di locazione relativo al bene in comune.

A tali quesiti, il G.I. formula una risposta chiara ed esauriente:

a) Sulla base della più recente giurisprudenza (a partire dalla sentenza S.C.C. n. 6330 del 14.12.1985) si è ritenuto legittimato alla opposizione ex art. 615 c.p.c. l’occupante di un immobile cui era stato intimato il rilascio sulla base di un provvedimento esecutivo emesso nei confronti di un’altra persona, in quanto considerato detentore reale del bene.In altre parole, con tale opposizione, si contesta il diritto di procedere ad esecuzione forzata, ma non si chiede la riforma o il riesame del provvedimento esecutivo di risoluzione del contratto di locazione (nel qual caso, di dovrebbe ricorrere alla opposizione di terzo);

b) Sull’altro punto è altrettanto pacifico che il singolo proprietario, in difetto di prova contraria (da provarsi nel corso del giudizio) può stipulare un contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile in comune, ed agire “per la cessazione o la risoluzione del contratto e la consegna del bene locato anche nell’interesse degli altri partecipanti alla comunione, trattandosi di un atto di utile gestione nell’ambito della ordinaria amministrazione della cosa comune, per il quale è da presumere, salvo prova contraria, che egli abbia agito con il consenso degli altri” (vedi anche, oltre alle sentenze indicate dal G.I., anche Cass. 29.11.1986, n. 7033; Cass. 10.8.1999, n. 8550). Pertanto, poiché il consenso degli altri comproprietari è presunto, ove gli stessi siano contrari alle decisioni prese da uno di loro, essi dovranno opporsi secondo i criteri che disciplinano la comunione.Nel caso, invece, di quote eguali o di dissenso fra i condomini, sarà necessario il preventivo intervento dell’autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c. (Cass. 22.2.1985, n. 1582; Cass. 13.12.1986, n. 7471).

Avv. Franco Ballati

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI PISTOIA

SEZIONE DISTACCATA DI MONSUMMANO TERME

in persona del dott. Pierpaolo Grauso in funzione di giudice unico ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 3747 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell’anno 1999, posta in deliberazione all’udienza dell’8 marzo 2000, e vertente

TRA

P.A., G.F.S., elettivamente domiciliati in Pisa, Via .., presso lo studio dell' Avv. R.V., che li rappresenta e difende in forza di delega a margine del ricorso in opposizione all'esecuzione

opponenti

E

P.M.L., elettivamente domiciliata in Monsummano Terme, Via ......., presso lo studio dell' Avv. S.F., che la rappresenta e difende in forza di delega a margine della comparsa di costituzione e risposta

creditore opposto

NONCHE’

B.G., D.M.

debitori esecutati chiamati in causa ex art. 102 c.p.c.

contumaci

Conclusioni

All’udienza dell’8 marzo 2000, i procuratori delle parti concludevano come da verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto depositato il 3 novembre 1999, i ricorrenti esponevano che, con contratto di locazione del 15 ottobre 1999, F.S.G. aveva concesso in locazione ad A.P. l’immobile sito in Pieve a Nievole, Via ............; che detto immobile era stato acquistato dal G. - pro quota con sua madre M.L.P. - per effetto di successione dal defunto fratello Enrico, il quale in vita lo aveva concesso in locazione a tali M.D. e G.B.; che la P., a seguito del decesso del G.E., aveva proposto nei confronti degli allora conduttori procedimento per convalida di sfratto per morosità, conclusosi con sentenza di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento dei conduttori, i quali avevano proseguito il pagamento dei canoni di locazione in favore del G.F., integrando con tale condotta, ad avviso del giudice, un imperfetto adempimento della propria obbligazione; che, in forza della pronuncia richiamata, la P. aveva dato inizio all’esecuzione per rilascio dell’immobile in questione.

Ancora, i ricorrenti deducevano che il G.F. - essendo indivisa l’eredità di E.G., e non essendo egli d’accordo che la madre entrasse nella esclusiva disponibilità dell’immobile - aveva allora chiesto ai conduttori ed ottenuto il rilascio dell’immobile in proprio favore, quale contitolare del bene, contestualmente stipulando un nuovo contratto, con cui aveva concesso il medesimo bene in locazione alla P.

Ciò premesso, convenivano in giudizio dinanzi a questo Tribunale la P.M.L., e contestavano il diritto della stessa a proseguire nella esecuzione per rilascio intrapresa, non essendo il titolo esecutivo azionabile nei confronti della P., detentrice del bene e terza rispetto al giudizio in cui quel titolo si era formato; nonché in considerazione della legittimità della attuale detenzione (mediata) dell’immobile da parte del coerede G.

Concludevano pertanto affinché venisse dichiarata la intervenuta caducazione del titolo esecutivo, con ogni conseguenza sull’esecuzione.

Si costituiva la convenuta, eccependo preliminarmente la improponibilità dell’opposizione di terzo in ipotesi di esecuzione forzata per rilascio; nel merito, chiedeva respingersi le avverse domande, non avendo il G. alcun titolo per pretendere il rilascio dell’immobile (e comunque non un titolo prevalente rispetto a quello azionato dalla P.), ed essendo la ricorrente P. - madre della (ex) conduttrice G.B., con la stessa già convivente nell’immobile de quo - nulla più che un soggetto interposto nel nuovo contratto di locazione, il cui effettivi beneficiari sarebbero in realtà sempre la B. ed il D., vale a dire i debitori esecutati.

La causa - sospesa l’esecuzione e disposta la integrazione del contraddittorio nei confronti della B. e del D., litisconsorti necessari in quanto debitori risultanti dal titolo esecutivo, ma rimasti contumaci - veniva istruita documentalmente, e trattenuta in decisione all’udienza dell’8 marzo 2000, con assegnazione alle parti costituite dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La decisione della controversia non può prescindere da alcune brevi considerazioni intorno alla qualificazione giuridica della opposizione proposta dagli odierni ricorrenti.

Si afferma comunemente - e non vi è ragione di discostarsi da tale interpretazione - la inesperibilità dell’opposizione di terzo al di fuori della esecuzione forzata per espropriazione, e quindi nelle procedure esecutive dirette per rilascio, sulla scorta della limitazione contenuta nell’art. 619 c.p.c., il quale individua l’oggetto dell’opposizione nella pretesa del terzo di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati.

La ratio della norma è stata rinvenuta nel rilievo che solo l’esecuzione per espropriazione coinvolge beni differenti da quelli che costituiscono oggetto del diritto che si porta ad esecuzione, con possibilità di un errore inerente alla scelta dei beni da pignorare, mentre nelle esecuzioni dirette la coincidenza fra bene sottoposto all’esecuzione e bene oggetto del diritto solitamente esclude siffatta possibilità di errore.

Correlativa all’interpretazione assolutamente dominante era in passato la tesi secondo cui qualsiasi titolo esecutivo giudiziale di condanna fosse operativo nei confronti di chiunque si trovasse in condizione di doverne subire gli effetti, come ad esempio, rispetto ad una condanna di rilascio di un immobile, il detentore materiale dello stesso, pur se non risultante dal titolo esecutivo, al quale non era dato il rimedio previsto dall’art. 619, ma, eventualmente, l’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c..

Più di recente è invalso tuttavia un diverso, condivisibile, orientamento, facente leva sul paradigma normativo dell’art. 615 c.p.c., ed in forza del quale il terzo in concreto assoggettato all’esecuzione per rilascio può dispiegare opposizione di terzo ordinaria, ove intenda rimuovere il pregiudizio che gli deriva dal titolo azionato, ovvero opposizione diretta all’esecuzione laddove intenda evitare il solo pregiudizio provocato dalla materiale esecuzione di quel titolo.

Ed in giurisprudenza si è così giunti ad affermare che, nell’esecuzione per consegna o rilascio, la legittimazione alla opposizione all'esecuzione spetta anche al detentore reale del bene, ancorché sia persona diversa da quella nominativamente indicata nel titolo esecutivo, perché è proprio il detentore reale l'unico soggetto che può soddisfare la pretesa esecutiva della parte istante alla restituzione del bene e che assume la qualifica di esecutato (cfr. Cass. 9 gennaio 1991, n. 149). E si è poi chiarito, in un successivo arresto, quale sia il rapporto tra i rimedi esperibili dal terzo esecutato, nel senso che se questi intenda contestare l’efficacia esecutiva, nei suoi confronti, del titolo esecutivo di formazione giudiziaria reso inter alios, e quindi il diritto della parte istante di procedere alla esecuzione, opponendo il proprio diritto alla detenzione del bene in forza di un autonomo rapporto contrattuale, propone opposizione alla esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., mentre propone opposizione ordinaria di terzo, qualora l’obiettivo finale (o passaggio necessario) dell’opposizione sia la riforma o l'annullamento della decisione giudiziaria, e non l’esecuzione di essa (cfr. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11410).

In definitiva, lo spartiacque fra i due generi di rimedi è segnato dall’oggetto giuridico specifico dell'azione: la decisione del giudice, nell’opposizione di terzo ordinaria; la pretesa esecutiva, nell'opposizione all'esecuzione forzata. Questo perché per entrambi gli istituti processuali, pur diversi nella natura, le rispettive discipline non prevedono motivi tipizzanti i rispettivi atti propositivi: non la disciplina dell'opposizione all'esecuzione, nella quale le limitazioni comunemente all'uopo reputate, quando la reazione sia diretta contro azione esecutiva condotta e sulla base di titolo di formazione giudiziaria, discendono dalla mera impossibilità di attingere con l'opposizione all'esecuzione l'integrità originaria del decisum, quale scaturito nelle conseguenziali fasi processuali; non la disciplina dell’opposizione di terzo ordinaria, che fa in proposito affidamento sulla deduzione di un diritto pregiudicato da una sentenza resa fra altre parti.

In applicazione di tali principi, l’opposizione proposta dal ricorrenti deve essere qualificata in termini di opposizione all’esecuzione, dal momento che le contestazioni svolte hanno per espresso oggetto unicamente il diritto della P. a procedere ad esecuzione forzata, e l’efficacia esecutiva del titolo nei confronti degli opponenti.

Ciò premesso, le posizioni individuali del G.F. e della P.A., pur strettamente connesse, debbono in realtà essere tenute distinte, per il diverso fondamento giuridico ad esse sotteso.

Il primo oppone infatti il diritto di comproprietà pro indiviso sull’immobile per cui si procede, pervenuto per effetto di duplice successione ereditaria alla P. per la metà, e per la quota restante ai di lei figli, F. e S.G.; sulla quota di spettanza dei figli, grava altresì per un terzo l’usufrutto in favore della P. (consolidatosi con la proprietà quanto all’altra metà; si ricorda che la P. aveva l’usufrutto per un terzo su tutti i beni oggetto della successione del marito A.G.).

L’art. 1105 c.c. stabilisce che tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune, facendosi da tale norma discendere la presunzione relativa che ciascuno dei comproprietari agisca con il consenso degli altri, e sia pertanto legittimato a stipulare contratti aventi ad oggetto il bene comune (cfr., fra le altre, Cass. 8 aprile 1998, n. 3653); con particolare riferimento alla locazione della cosa comune, si è pertanto ripetutamente affermato che il singolo comproprietario possa procedere alla locazione ed anche agire per la cessazione o risoluzione del contratto e per il rilascio del bene locato, anche nell’interesse degli altri, salvo che risulti la volontà contraria di questi ultimi, che fa venire meno il presunto consenso della maggioranza (Cass. 11 agosto 1997, n. 7457).

D’altro canto, se il singolo condomino può locare il bene comune, ad agire in giudizio per ottenere il rilascio del bene è legittimato anche un condomino diverso da quello che ha assunto le vesti di locatore, purché, ancora una volta, non emerga la volontà contraria degli altri comproprietari (Cass. 19 aprile 1996, n. 3725; 29 agosto 1995, n. 9113); con la conseguenza che il comproprietario non locatore, a fortiori, potrà chiedere ed ottenere il rilascio del bene non necessariamente facendo ricorso all’autorità giudiziaria, nella presunzione che agisca nell’interesse della comunione.

Deve pertanto ritenersi che il G. fosse legittimato ad ottenere il rilascio in proprio favore dell’immobile per cui è causa, a prescindere dall’azione intrapresa nei confronti dei conduttori dalla P., ed a prescindere dalla esecuzione forzata del titolo emesso all’esito di quell’azione: in altri termini, se l’immobile fosse stato rilasciato in esecuzione della sentenza ed in favore della P., il rilascio si sarebbe dovuto pur sempre intendere effettuato a vantaggio della comunione; e la circostanza che il rilascio sia invece avvenuto su richiesta del G., ed in favore dello stesso, non toglie che esso debba intendersi effettuato in favore della comunione, di talché il conseguimento degli effetti della sentenza impedisce che essa possa ulteriormente venire portata ad esecuzione, sia nei confronti dei debitori risultanti dal titolo, i quali di fatto hanno già rilasciato il bene in favore di soggetto legittimato a riceverlo, che in quelli del G.F., il quale esercita le proprie facoltà di comproprietario servendosi ed amministrando la cosa comune.

Né l’esecuzione della sentenza azionata dalla P. potrebbe precludere al comproprietario l’esercizio di tali facoltà, mentre l’opponente non ha articolato alcuna domanda tesa all’accertamento del proprio diritto di partecipare all’uso ed alla gestione della cosa comune; infine, non rileva che il diritto del G. non sia sancito da alcuna statuizione giudiziaria, trattandosi di diritto assolutamente incontroverso, che trova la sua fonte nell’acquisto iure hereditario.

Il problema che emerge evidente dagli atti di causa è, peraltro, la totale assenza di accordo tra i comproprietari P. e G.F. circa l’utilizzo dell’immobile (mentre non è conosciuta la posizione dell’altra comproprietaria S.G.), ciò che determina il venire meno della presunzione che il G. abbia agito ed agisca con il consenso della P., con particolare riferimento alla stipula di un nuovo contratto di locazione, successivo alla sentenza azionata, con cui il bene è stato concesso in locazione ad A.P., madre di B.G. e con la medesima già convivente nell’immobile de quo.

Ecco l’altro punto nodale della questione: la P. è detentrice qualificata dell’immobile in forza di contratto di locazione successivo al titolo posto in esecuzione, e stipulato con uno dei condomini, il quale, come detto, si presume legittimato a rappresentare la comunione, di talché il diritto dalla stessa vantato deve considerarsi legittimamente opponibile al creditore procedente; peraltro, in astratto il manifesto dissenso della P. dovrebbe reagire sulla efficacia del contratto stipulato dal solo G.F., sotto il profilo della carenza di legittimazione.

Tuttavia, le difese della convenuta insistono, da un parte, sul carattere dipendente del diritto vantato dall’opponente P. rispetto a quello del G., il quale viene a sua volta qualificato come “certamente non prevalente” su quello della P.; dall’altra, sulla simulazione del contratto di locazione stipulato dalla P. in qualità di persona interposta fittiziamente, laddove parti sostanziali del negozio sarebbero (continuerebbero ad essere) B. ed il D., ex conduttori in virtù del precedente contratto dichiarato giudizialmente risolto, ma nessuna domanda (riconvenzionale) né eccezione viene proposta nel senso della violazione delle norme sulla comunione, ovvero della inefficacia del contratto (per carenza di legittimazione del locatore). Solo in comparsa conclusionale viene genericamente eccepita la contrarietà della condotta del G. alla disciplina della comunione, e la inopponibilità del contratto agli altri comproprietari - mentre viene ribadito quanto affermato circa la nullità del contratto per simulazione - ma si tratta di deduzioni evidentemente tardive, delle quali non può tenersi conto (peraltro ad esse non fa seguito alcuna espressa domanda dichiarativa dell’inefficacia o invalidità del contratto).

L’impostazione difensiva della convenuta - incentrata sulla non prevalenza del diritto vantato dagli opponenti rispetto a quello della creditrice - neanche consente al giudice, in questa sede, di pronunciarsi sulla validità del consenso espresso dal solo G.F. in relazione all’amministrazione del bene comune, nonostante l’esplicito dissenso proveniente dalla comproprietaria P.; ma quand’anche si ritenesse rilevabile d’ufficio il difetto di legittimazione sostanziale del solo G. alla stipula della locazione, con conseguente declaratoria di inopponibilità alla P. del contratto intercorso con la P., la efficacia esecutiva del titolo rimarrebbe comunque paralizzata, per le ragioni esposte, nei confronti del G., possessore mediato del bene (sul punto, per inciso, lo scrivente magistrato ritiene che debba distinguersi la carenza di legittimazione processuale, rilevabile d’ufficio, dalla carenza di potere rappresentativo negoziale, rilevabile ad istanza del soggetto falsamente rappresentato, v. art. 1398 c.c.).

Allo stesso modo, anche ammesso che si versi effettivamente in ipotesi di interposizione fittizia di persona (piuttosto che di interposizione reale, ma non sembrano in questo senso le difese della opposta), la simulazione sarebbe scarsamente rilevante nella fattispecie, dal momento che nulla vieta che l’immobile sia nuovamente locato ai precedenti conduttori, già parti del contratto risolto: e, come si è visto, i profili che rendono accoglibile l’opposizione - riverberandosi sulla stessa posizione della P. - sono quelli attinenti al riconoscimento delle prerogative proprietarie in capo all’altro opponente.

In forza di tutto quanto precede, l’opposizione proposta da A.P. e F.S.G. all’esecuzione della sentenza n. 30/99, emessa da questo Tribunale il 13 luglio - 20 settembre 1999, deve essere accolta, e per l’effetto dichiarata l’inefficacia e l’inopponibilità della pronuncia suddetta nei confronti degli opponenti.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione fra tutte le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Pistoia, definitivamente pronunciando sul ricorso in opposizione all’esecuzione proposto da A.P. e F.S.G. nei confronti di M.L. e P., così provvede:

- accoglie l’opposizione, e per l’effetto dichiara il titolo esecutivo, costituito dalla sentenza n. 30/99 emessa dal Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, inefficace ed inopponibile nei confronti degli opponenti;

- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Pistoia il 24 luglio 2000

Il Giudice

dott. Pierpaolo Grauso

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