Giurisprudenza commentata

Separazione giudiziale – addebito – non utilizzabilità di fatti precedenti alla riconciliazione – necessità di conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio

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(Sentenza 23.4-21.7.2009, n. 92/09, Tribunale di Pistoia)

di Franco Ballati

  

La sentenza del Tribunale di Pistoia che si commenta appare condivisibile e conferma due principi giurisprudenziali che, a parere di chi scrive, sono pacifici.
Entrambi i coniugi, sia pure con motivazioni diverse, avevano inizialmente richiesto l'addebito della separazione all'altro coniuge, salvo, poi, la moglie, rinunciare alla relativa richiesta in sede di precisazione delle conclusioni, richiesta che, invece, è stata confermata dal marito.
Esaminiamo quindi i punti essenziali.


A) Assegnazione della casa coniugale
A prescindere dal fatto che la relativa domanda è stata abbandonata dalla moglie, è pacifico (giurisprudenza assolutamente conforme) che la casa coniugale possa (e debba) essere assegnata al coniuge solo quando gli siano stati affidati i figli minori.
Nella fattispecie, il primo era maggiorenne e la moglie aveva abbandonato la casa coniugale prima dell'inizio dell'inizio del giudizio di separazione.


B) Addebito della separazione
A sostegno delle richiesta di addebito della separazione alla moglie, il marito le aveva contestato fatti avvenuti precedentemente ad una separazione consensuale, poi conclusasi con una riconciliazione.
I fatti avvenuti si riferiscono all'anno 1999, poi seguiti da una separazione consensuale, omologata dal Tribunale di Pistoia nel febbraio 2000, nella quale i coniugi dichiaravano che i loro rapporti si erano sempre più deteriorati, tanto da rendere impossibile la prosecuzione dell'unione matrimoniale.
E' incontestato che, successivamente, i coniugi avevano ripreso la convivenza.
Ne consegue che, tali fatti, posti a base della richiesta di addebito nel successivo giudizio di separazione giudiziale, iniziato nell'anno 2004, ed oggetto di espletata prova testimoniale, in presenza di opposizione della difesa della moglie, non potevano, e non possono, essere considerati come idonei ai fini della richiesta valutazione dell'addebito.
Sul punto la giurisprudenza è assolutamente pacifica:


“La riconciliazione fra i coniugi - intesa quale situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza, mediante ripresa dei rapporti materiali e spirituali che, caratterizzando il vincolo del matrimonio ed essendo alla base del consorzio familiare, appaiono oggettivamente idonei a dimostrare una seria e comune volontà di conservazione del rapporto, a prescindere da irrilevanti riserve mentali - è fonte non soltanto di effetti processuali, preclusivi del giudizio di separazione in corso, ma altresì di effetti sostanziali, consistenti nel determinare l'inidoneità dei fatti ad essa anteriori - posti in essere durante la convivenza o la separazione di fatto - ad assumere autonomo valore giustificativo di una pronuncia di separazione personale, emessa su domanda successiva all'evento riconciliativo rimasto privo di esito definitivo, con la conseguenza che, ai fini di tale pronuncia e della valutazione dell'addebito, sono utilizzabili soltanto i fatti successivi all'evento medesimo, mentre quelli anteriori possono essere considerati al solo scopo di lumeggiare il contesto storico nel quale va operato l'apprezzamento in ordine all'intollerabilità della convivenza” (Cass. 29.11.1990, n. 11523).


Di più: si è affermato anche un ulteriore principio:


“L'art. 151 cod. civ., nel testo introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia, statuisce al primo comma che la separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. Al secondo comma statuisce poi che il giudice, "pronunciando la separazione", dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Il primo comma, pertanto, ricollega la pronuncia di separazione al verificarsi di fatti oggettivi che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza coniugale o che compromettano l'educazione della prole. Il secondo, invece, prevede la possibilità di una pronuncia accessoria, su istanza di uno o di entrambi i coniugi, di addebito della separazione al coniuge.
Secondo quanto questa Corte ha già affermato (da ultimo Cass. Sez. un. 4 dicembre 2001, n. 15279; Cass. 30 luglio 1999, n. 8272; 19 settembre 1997, n. 9317), il coordinamento fra dette disposizioni evidenzia che la dichiarazione di addebito può essere richiesta e adottata soltanto nell'ambito del giudizio di separazione, dovendosi escludere l'esperibilità, in tema di addebito, di domande successive a tale giudizio, attribuendo il secondo comma dell'art. 151, espressamente, la cognizione della domanda di addebito alla competenza esclusiva del giudice della separazione, con la conseguente improponibilità di domande di addebito al di fuori di tale giudizio.
Ne deriva che, sia ove le parti siano addivenute a separazione giudiziale senza pronuncia di addebito, sia ove siano addivenute a separazione consensuale omologata, esse non possono successivamente chiedere, in un successivo giudizio, né per fatti sopravvenuti, né per fatti anteriori alla separazione, una pronuncia di addebito.
Esattamente, pertanto, la Corte di appello ha negato ingresso all'esame della domanda di addebito proposta dall'odierna ricorrente in sede di divorzio, affermandone la inammissibilità.
A diverso avviso non può indurre l'allegazione che la ricorrente aveva avuto notizia di una ragione di addebitabilità della separazione al marito solo successivamente alla omologazione della separazione consensuale, e cioè al momento della proposizione della domanda di divorzio. Ragione per cui non aveva potuto proporre anteriormente la domanda di addebito e si era indotta alla separazione consensuale con volontà viziata dall'ignoranza del fatto che avrebbe reso la separazione addebitabile al marito”
(Cass. 29.3.2005, n. 6625).


Nel caso in esame, i fatti contestati alla moglie erano conosciuti dal marito ed erano antecedenti addirittura il ricorso per separazione consensuale e non potevano, dunque, essere oggetto di (successive) contestazioni e posti a fondamento del riconoscimento di addebito della separazione alla moglie.
Pertanto, la separazione fra i coniugi non poteva – come è stato – che essere dichiarata senza alcun addebito ad alcuno dei coniugi.

C) Assegno di mantenimento
La espletata istruttoria ha provato l'esistenza di una notevole disparità di condizioni economiche fra i coniugi (a sfavore della moglie).
E' altrettanto pacifico, in giurisprudenza di legittimità, che, in base all'art. 156 c.c., il diritto all'assegno di mantenimento sorge a favore del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente durante il matrimonio e sussista disparità economica fra i coniugi.
Si riportano, in proposito, a titolo esemplificativo, due massime della Suprema Corte di Cassazione:


“Il coniuge, cui non sia addebitabile la separazione personale, nel richiedere l'assegno di mantenimento, pur essendo onerato della prova di impossidenza di sostanze o di redditi, non è tenuto a darne dimostrazione specifica e diretta, essendo sufficiente che deduca anche implicitamente una condizione inadeguata a mantenere il precedente tenore di vita, ferma restando la possibilità dell'altro coniuge di contestare la pretesa inesistenza o insufficienza di reddito o sostanze, indicando beni o proventi che evidenzino l'infondatezza della domanda. (Nella fattispecie la S.C. ha applicato tale principio alla richiesta di revisione dell'assegno formulata dal coniuge che aveva alienato la sua azienda commerciale sostenendo che la stessa era in crisi e che egli non possedeva altri beni o proventi, ed ha affermato che l'altro coniuge aveva l'onere di dimostrare che in realtà l'azienda non era in crisi e che il coniuge richiedente non possedeva altri beni o proventi che evidenziassero l'infondatezza della domanda)” (Cass., 27.8.2004, n. 17136); ed anche:


“Il coniuge cui non sia addebitabile la separazione ha diritto al mantenimento a carico dell'altro, se vi è una disparità tra le posizioni economiche complessive attuali dei coniugi, da valutarsi con riferimento ai redditi e ad ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica, compresa la disponibilità della casa coniugale, e sempre che il richiedente sia privo di mezzi adeguati propri, da valutarsi in via prioritaria con riferimento alla pregressa posizione economica complessiva dei coniugi durante la convivenza, e al conseguente tenore di vita che gli stessi avrebbero potuto tenere” (Cass. 3.10.2005, n. 19291).

 

testo sentenza

 

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